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“A cooler climate”: a Roma il documentario del regista premio Oscar James Ivory

James Ivory a cooler climate festa del cinema di roma 2022
Presentato alla Festa del Cinema di Roma “A cooler climate”. Il documentario, realizzato con Giles Gardner, è la nuova pellicola del grande cineasta americano James Ivory

89 anni, trentadue film da regista, quattro candidature all’Oscar per la regia e un Oscar per la migliore sceneggiatura per “Chiamami col tuo nome” di Luca Guadagnino, James Ivory ha ricevuto il premio alla Carriera alla Festa del Cinema di Roma 2022, dove ha presentato “A cooler climate”. Un filmato del 1960 sull’Afghanistan, l’occhio di James Ivory. Un lavoro che affascina ma che ricorda molto la Hollywood che ha inventato il politically correct. “A cooler climate” è un bellissimo documentario su un Afghanistan che non esiste più, che vorrebbe raccontarci aspetti della vita privata di Ivory, ma che resta imbrigliato in quella mentalità vecchia Hollywood dove si può raccontare tutto ma senza parlare di niente.

Un documentario che ci restituisce immagini del lavoro di Ivory, come della sua vita privata, della sua infanzia nell’Oregon. Come quando gli chiesero cosa volesse ricevere da Babbo Natale e lui rispose: una casa delle bambole. Non perché volesse giocare con le bambole, ma per arredarla. E gli arredi sono sempre stati una sua passione, come in “Casa Howard” o in “Quel che resta del giorno”. Ma quell’episodio della sua infanzia, racconta Ivory, a causa del quale fu deriso, lo fece sentire speciale.

“A cooler climate”, James Ivory alla Festa del Cinema di Roma 2022

James Ivory alla Festa del Cinema di Roma con “A cooler climate”“A cooler climate” è un lavoro che procede su due binari paralleli che, proprio come questi, non si incontrano. Il comune denominatore è il regista, ma altro non si ravvede. Sicuramente una testimonianza preziosa emersa da archivi privati e generosamente condivisa, ma nulla più.

James Ivory ha presentato il suo ultimo lavoro alla Festa del Cinema di Roma:

«È un film nato quasi per caso. Ho riguardato quel girato per anni, poi rimettevo la pellicola nella scatola e poi la riprendevo per farla vedere a qualche amico. Era venuto Giles a farmi visita e, quando l’ha visto, si è dimostrato interessato. Per lui è stata una specie di rivelazione. Pensava avessi qualche scena. Ho letto cosa è oggi l’Afghanistan. Quando gli stranieri, russi e americani, sono arrivati, si è ripetuto quello che era già accaduto in passato, anche al tempo degli inglesi. Solo gli sciocchi possono pensare di prendere l’Afghanistan. Diverso è stato il caso dei talebani: loro erano afghani. Quando abbiamo lavorato al progetto, io e Giles abbiamo deciso di non raccontare quello che già veniva raccontato da tutti. Volevamo raccontare l’Afghanistan non come luogo di guerra ma come un Paese ricco di natura».

«Abbiamo lavorato su materiale muto. Il sonoro, anche il vento, lo abbiamo aggiunto noi» , prosegue James Ivory. «Raccontiamo un Paese in pace, senza alcuna minaccia di guerra. L’unica possibile, allora, era quella con il Pakistan per problemi di confini. E questo volevamo restituire. Citiamo la CIA, quindi diciamo anche che non era un Paese idilliaco. Un Paese che sia i russi che gli americani volevano trascinare dalla loro parte» .

«Al tempo avevo già girato un docufilm della città di Dehli», continua il regista. «Stavo lavorando proprio a questo e sono andato a Kabul solo per lavorare quel materiale in un luogo più fresco. Solo che quando sono arrivato non ho trovato i palazzi costruiti dai Moghul in india, non c’era nulla di antico. Non conoscevo il farsi. Riprendevo quello che non avevo mai visto in altre parti del mondo, quello che mi interessava da documentarista, come fare in mattoni. Ma non c’era un’idea di base. Ero lì solo per sfuggire al caldo di Dehli. Tornato non sapevo che fare di tutto quel materiale, che per decenni è rimasto in fondo a un cassetto. Finché non è arrivato Giles».

James Ivory alla Festa del Cinema di Roma con “A cooler climate”
James Ivory alla Festa del Cinema di Roma

Qual è il suo film preferito tra quelli che ha diretto?

«”Mr&Mrs Bridge”. È un film autobiografico. Non è girato dove sono nato, a Berkeley, in Oregon, ma quella cittadina del Missisipi la ricorda molto. È autobiografico soprattutto nel contesto sociale. Credo sia un film che mi è riuscito davvero bene. Poi c’è “Chiamami con il tuo nome”, ma una situazione diversa. Non avevo mai letto il libro. Una coppia di amici volevano trarne un film e volevano me come produttore esecutivo. Quando ho conosciuto Guadagnino, mi ha chiesto di essere coregista. Ho accettato, ma ho detto che lo avrei scritto io, perché gli esperimenti fatti non rendevano giustizia al libro. Ho impiegato sei mesi a scrivere la sceneggiatura, che è stata accettata senza modifiche. Ecco come mi sono trovato a fare “Chiamami con il tuo nome”».

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