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“La Cura”, il film di Francesco Patierno sospeso nel tempo di un contagio senza nome

"La cura", il film di Francesco Patierno a RFF17
“La Cura” di Francesco Patierno è uno dei film in Concorso alla festa del Cinema di Roma. Il regista, insieme a Francesco Di Leva, Alessandro Preziosi, Francesco Mandelli e Cristina Donadio ha presentato il film alla stampa

Il film di Francesco Patierno, in concorso alla Festa del Cinema di Roma, inizia con diverse scene fuori fuoco. A fuoco – fuori fuoco, come due occhi che cercano di vedere, di capire cosa sta accadendo. Una Napoli che sembra un set cinematografico ricostruito per l’occasione, tanto è deserta, muta, senza schiamazzi. Le uniche grida, quelle sporadiche della pazzia. Una Napoli dove un Cristo benedicente altro non è se non una decorazione all’angolo di una strada.

Un film straniato che non ha neanche un tempo, sospeso nel tempo di un contagio senza nome. Mancano anche le folle. Neanche le sirene delle ambulanze che sfrecciavano nei giorni del lockdown. Unica voce che si impone, quella di una religione che predica frasi ormai senza valore, cercando di dare certezze che non ha più, priva di empatia. Parole vuote che riecheggiano in chiese deserte. Una religione impotente come l’uomo, perché umana anch’essa.

"La cura", il film di Francesco Patierno a RFF17

“La cura” è un film lento, a tratti senza una storia concreta che supporti il film, con dialoghi spesso non brillanti, ma che ha il pregio di far tornare l’uomo al centro della vita. Anche se è una vita che non governa più e che, in realtà, non ha mai governato. L’uomo come cura. In questo il regista rispetta Camus.

“La Cura”, il regista Francesco Patierno in conferenza stampa

«Il film parte come un libero adattamento contemporaneo de La peste di Camus. Abbiamo girato i primi cinque giorni durante il primo lockdown. E sono successe alla troupe cose che mi hanno convinto che quel materiale doveva essere utilizzato. Amo i meccanismi narrativi non lineari, per cui ho iniziato a pensare a due linee parallele, una della realtà e una della finzione, che poi dovevano fondersi. Volevo che lo spettatore scivolasse lentamente dentro il film di Camus senza rendersene conto. Avevo voglia di raccontare la pandemia, ma non volevo farlo con un instant movie e il suo testo mi ha permesso di fare un’operazione molto più larga».

"La cura", il film di Francesco Patierno a RFF17

«La peste di Camus è stata una scelta consapevole e non voler citare l’evento specifico è un pretesto per raccontare altro», prosegue Patierno. «Per parlare di solidarietà, amore, amicizia tra le persone, come unico rimedio contro l’inesorabilità della malattia e della morte. Camus, nonostante il suo cinismo, credeva in questa cura. E da lì il titolo del film. Ma il film non racconta solo della pandemia. “La peste” di Camus parla anche di nazismo, di dittatura, di guerra. E questo doppio binario è per me importante che emerga».

Francesco Mandelli

 «Il personaggio di Lambert del libro e la mia persona si sovrappongono. Cercavano un attore di Milano che andasse a Napoli a girare. Non ho dovuto fare molta fatica perché quel personaggio era dentro di me. I due personaggi collimavano. È stato bello partecipare a un progetto. Un progetto nel vero senso della parola perché spesso davvero non sapevamo cosa sarebbe accaduto. Ma ringrazio l’opportunità che mi è stata data perché sono uscito dalla mia zona di comfort».

"La cura", il film di Francesco Patierno a RFF17

Alessandro Preziosi

«Ho vissuto il mio percorso in maniera molto allineata al mio personaggio, costruito alla perfezione da Patierno. Non ho avuto mai il dubbio che stessi interpretando un ruolo. Tranne nel caso in cui suonavo il pianoforte, perché suono, e quando sceglievo quali vestiti indossare. Sono entrato in un gioco tra realtà e finzione, ma non ho avuto nessun cortocircuito. Per me è stato come le altre volte: una possibilità di lavoro e di incontri».

"La cura", il film di Francesco Patierno a RFF17

«Una parte impegnativa è stato il monologo di otto pagine, che sono state una maledizione e una benedizione», racconta ancora Preziosi. «Recitando, impari a girare attorno a tutto ciò che può farti soffrire grazie alle tecniche di recitazione. Ma è stata una prova impegnativa. Anche perché avevo da poco subito un lutto. Mi viene in mente che, quando lo scorso anno venni qui a presentare un mio lavoro, Paola Malanga, direttrice del Festival, mi disse: “il tuo modo di rendere sopportabile il dolore lo trovo interessante”».

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