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Marco Ligabue: «La canzone che ho scritto per mia figlia la dedico a tutti coloro che hanno bisogno di una carezza in questo periodo» 

Marco Ligabue ha sempre vissuto immerso nella musica. Nato a Correggio cinquant’anni fa, è cresciuto tra la balera gestita da mamma e papà, le serate a cantare con gli amici e il successo di un fratello che è un’icona del rock italiano.

Nonostante le comprensibili paure di non riuscire a reggere confronto con un fratello “ingombrante” come il Liga, Marco Ligabue ha continuato a studiare musica e a suonare. Ha iniziato la carriera nei primi anni ’90 con il gruppo Little Taver & His Crazy Alligators, poi nel 2001 ha fondato i Rio con i quali ha suonato e realizzato album fino al 2012. L’anno successivo il suo esordio come solista con l’album Mare Dentro, al quale sono seguiti altri due lavori, Luci – Le uniche cose importanti e Il mistero del DNA.

A breve uscirà il nuovo album che racchiude le canzoni più belle che ha creato nei suoi cinquant’anni di vita. Durante il lockdown Marco Ligabue ha scritto e registrato in casa il brano Dentro, dedicato a sua figlia Viola che vive in Sardegna con la mamma. La canzone ha conquistato ed emozionato tutti, nel giro di pochi giorni. Dentro è una sorta di  manifesto delicato e profondo delle emozioni che, chiunque abbia dovuto vivere la lontananza dalle persone più care, ha provato. Tra molti impegni nel sociale, con la sua profonda umanità Marco Ligabue riesce a toccare le corde dell’animo umano, senza più timori.

Ci racconti com’è nato il tuo nuovo singolo Dentro?

Ho scritto questa canzone a fine marzo. Sono un genitore separato, mia figlia Viola ha tredici anni e vive in Sardegna con la mamma. La raggiungo tre volte al mese, da anni, per poter stare insieme a lei oppure viene da me a Correggio, quando può. Quando c’è stato il lockdown, ero appena rientrato a casa dopo aver trascorso due giorni con lei. Da quel momento in poi non ho più potuto vederla a causa delle delle restrizioni. Abbiamo resistito un po’ con le video chiamate, ma dopo un po’ la distanza ha iniziato a farsi sentire. Mia figlia rappresenta la persona più importante del mondo. Un giorno, durante una di queste video chiamate, io e lei abbiamo iniziato a fare una lista di buoni propositi e delle cose che avremmo fatto insieme, una volta finito tutto. Mi sono emozionato tantissimo. Appena conclusa la chiamata ho preso in mano la chitarra, e in poche ore ho scritto questa canzone per lei.

È la prima canzone che scrivi per Viola?

Si, è la prima, non avevo ancora scritto una canzone per lei. L’emotività di quei momenti mi ha permesso di far emergere ciò che avevo dentro. Ho scritto il testo tra le quattro pareti della mia casa. In queste settimane delicate, tutti noi abbiamo scavato molto di più dentro di noi. Le mancanze e le distanze ci hanno permesso di andare in profondità. Quando Viola ha ascoltato per la prima volta la canzone, mi ha poi richiamato per tutta la sera, con gli occhi lucidi. Cantava il ritornello ed è stato bellissimo.

Ti aspettavi un riscontro così positivo per questo brano?

Mi ha fatto molto piacere. Ho letto dei commenti incredibilmente positivi. Quando ho scritto la canzone, ho descritto la mia situazione di papà lontano dalla propria figlia e ho avuto l’occasione di immaginare le mille altre situazioni che vivono i genitori separati. Ma non solo, ho pensato anche ai figli che in questi mesi sono stati lontani dai propri genitori, alle persone che sono state lontane dai propri compagni, dai fratelli, dalle sorelle,  dagli affetti più cari. Ho pensato alle persone che sentivano la mancanza di qualcuno di importante. Con Dentro volevo regalare qualche minuto di speranza, un abbraccio a tutte le persone che avevano bisogno di una carezza emotiva in un momento così particolare.

Hai da poco compiuto cinquant’anni, che effetto ti fa?

È un traguardo particolare, che mi ha dato la possibilità di mettermi davanti allo specchio per poter ripercorrere tutte le cose fatte fino ad ora in questi anni. Appena sarà possibile organizzare eventi ed incontri, presenterò il mio nuovo album con il meglio della musica che ho scritto e realizzato in questi anni. Mi piacerebbe tornare a fare concerti e incontrare le persone che mi sostengono, così festeggeremo insieme questi anni.

La musica ha sempre avuto un ruolo di primo piano nella tua famiglia, ci racconti di quando hai iniziato a suonare?

La musica  è sempre stata vitale, per me. Io e mio fratello Luciano siamo nati nella musica. I nostri genitori, nei primi anni Settanta, fondarono una delle prime balere qui nel posto in cui abbiamo vissuto. Durante il weekend, si svolgevano dei concerti. Sono passati personaggi come Pavarotti, Francesco Guccini, I Nomadi, I Pooh. Così siamo cresciuti ascoltando la musica dal vivo. Ho preso in mano la chitarra e piano piano è iniziato il mio percorso. All’inizio usavo la chitarra in compagnia degli amici, durante le serate divertenti. A vent’anni ho iniziato ad approfondirne lo studio e a fare il chitarrista. Non volevo mettermi assolutamente in prima linea e non mi interessava cantare. Forse perché non me la sentivo o forse perché, avendo un fratello così importante che ha scritto delle canzoni che sono diventate delle pietre miliari della musica italiana, mi sentivo frenato.

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Era l'11 maggio 1990 quando partiva il viaggio musicale di mio fratello. In quei giorni gli occhi brillavano di stupore e nessuno di noi immaginava quanto "Balliamo sul mondo" avrebbe stravolto le nostre vite. Tra i ricordi più vividi: -le tante ore passate con l'orecchio incollato alla radio per ascoltare i primi passaggi nell'etere; -I primi correggesi curiosi che passavano davanti a casa nostra per capire se era proprio Luciano quello che andava in onda su videomusic; -I miei genitori che chiedevano continuamente cosa stava succedendo intorno a Luciano e io che, da totale inesperto di certi meccanismi musicali, improvvisavo risposte. -I primi look curiosi e al limite del "tamarro" del fratellone (che nel tempo ho pure provato a copiare); Luciano sono stati trent'anni magici. Dall'Atlantide all'Everest un posto per noi ce l'hai regalato proprio tu. Un posto bellissimo. #ligabue #liga #marcoligabue #ligabrothers

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Fortunatamente sei riuscito a superare questo blocco. Cosa rappresenta per te la musica, oggi?

Con gli anni, la musica mi ha permesso di mettere da parte tutte le mie paure ed i miei limiti. Dentro di me è scattata una molla tanto forte che mi ha permesso di lanciarmi come cantautore. Ho scoperto tante cose e adesso mi sento libero di scrivere, di cantare ciò che voglio. La musica ha acquistato un valore sempre più importante all’interno della mia vita. Sono tante le consapevolezze che ho acquisito. Ho scoperto una grande empatia con le persone. In questi anni, la musica mi ha permesso di raccontare e di portare dei messaggi sociali non solo in giro per l’Italia ma anche nelle scuole. La musica per me è un amplificatore di messaggi. Rappresenta la mia compagna di vita. Tutte le foto che ho, da quando sono bambino ad oggi, mi ritraggono sempre con una chitarra tra le mani. Quelle sono tra le foto più belle della mia vita.

In che modo hai vissuto il ritorno alla normalità dopo il lockdown?

Stiamo vivendo i primi segnali del ritorno alla nostra quotidianità. Ne avevamo bisogno un po’ tutti. È stato emozionante tornare a prendere un caffè al bar, è sembrato una conquista. Ci mancavano le cose semplici, le abitudini di tutti i giorni come la chiacchierata con il barista, al mattino. Sono state proprio le piccole cose quotidiane a mancarci di più.

Cosa ti rende libero in questo momento?

Ho rivisto recentemente Braveheart con Mel Gibson. Il protagonista combatte per la sua terra e in punto di morte, urla “libertà”, una parola che mi ha fatto molto riflettere. In questi ultimi mesi, il suono della libertà l’ho ascoltato parecchio nella mia testa. Ho sempre immaginato che in queste settimane, qualcuno ci dicesse: “Il virus è morto. Abbiamo il vaccino. Abbiamo la soluzione”.

Mi sento privato dell’affetto delle persone. Viviamo il distanziamento con guanti e mascherine, con le paure e i timori. Non sappiamo come comportarci con gli altri, non abbiamo più un rapporto spontaneo e diretto, è tutto così filtrato. Ecco, questo aspetto rappresenta una grande privazione della nostra libertà. Siamo liberi a metà. Non vedo l’ora di sentirmi davvero libero, a contatto con le persone, di cantare e di vedere sotto ad un palco tanta gente unita.

 

 

 

 

 

 

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