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Gucci abbandona i calendari ufficiali delle sfilate: l’annuncio di Alessandro Michele su Instagram

Attraverso una serie di appunti e di riflessioni pubblicate sull’account Instagram di Gucci, Alessandro Michele, direttore creativo del brand, annuncia che la maison non sfilerà più nei calendari ufficiali della moda ma seguirà i propri tempi, senza stagionalità.

Alessandro Michele,  che dal gennaio 2015 è capo della direzione creativa di Gucci, nelle ultime ore ha pubblicato sull’account Instagram del brand una sequenza di scritti in italiano e in inglese. In queste annotazioni chiamate «Appunti nel silenzio», Michele esprime i propri dubbi, le irrequietezze, la necessità di cambiare rotta. Fino ad arrivare al post pubblicato ieri, dove lo stilista scrive che abbandonerà  “il rito stanco della stagionalità e degli show” per riappropriarsi “di una nuova scansione del tempo”, più aderente al suo bisogno espressivo.

Gucci non sfilerà più nei calendari ufficiali della moda, ma seguirà i propri tempi, senza stagionalità. Due sole presentazioni l’anno. Ecco in sequenza i sei post dove Alessandro Michele condivide le sue riflessioni, nate durante il lockdown, e annuncia la decisione di dare alla moda di Gucci un nuovo tempo e nuove modalità di presentazione.

Alessandro Michele Gucci
Un’immagine della sfilata Gucci Autunno Inverno 2019

«Alla fine ci è mancato il respiro»

«In questi giorni di confinamenti, dentro un tempo sospeso che fatichiamo a immaginare libero, provo a interrogarmi sul senso del mio agire. È un’interrogazione per me vitale e urgente, che mi obbliga a un ascolto sottile, e a un sostare attento. È il tentativo di nominare, con la precisione dell’amore, le mie paure e i miei desideri. E la possibilità di ridare l’afasia che ogni trauma impone. In fondo, la tragedia che stiamo vivendo sta aprendo nuovi spazi di riflessione. Non avremo mai potuto immaginare di poterci sentire così legati alla vita da un vincolo di tremore e di tenerezza straziante.

Non avremmo mai potuto pensare di ricontattare, in maniera cosi profonda, la fragilità del nostro destino culturale. Il nostro bisogno di reciprocità. Ci siamo scoperti piccola cosa. Un miracolo di niente. Abbiamo soprattutto capito di essere andati fuori misura. Le nostre azioni spregiudicate hanno incendiato la casa che abitiamo. Ci siamo creduti altro rispetto alla natura, più furbi e onnipotenti. L’abbiamo addomesticata, dominata, ferita. Abbiamo scatenato Prometeo, e sepolto Pan. Quanta superbia ci ha fatto smarrire la sorellanza con le farfalle, i fiori, gli alberi e le radici. Quanta spregiudicata avidità ci ha fatto perdere l’intesa e la cura, la connessione e l’appartenenza. Abbiamo terremotato la sacralità della vita, dimentichi del nostro essere specie. Alla fine ci è mancato il respiro».

«Avverto impellente la necessità di cambiare molte cose nel mio lavoro»

«Oggi che la devastazione ci ha trovati impreparati, dobbiamo poter riflettere su ciò che non vorremmo tornasse uguale. Perché il rischio più grande, per il nostro domani, è quello di abdicare ad ogni reale e necessaria discontinuità. La nostra storia, è, purtroppo, costellata da crisi che non ci hanno insegnato nulla. Di crolli economici e devastazioni sociali che sono state affrontate imponendo le stesse ricette che l’avevano generate. Di ferite che non hanno avuto la capacità di rigenerare il pensiero. Di lutti che non abbiamo saputo abitare per cambiare noi stessi e i nostri rapporti. Questa crisi rappresenta, dunque, un banco di prova fondamentale. Prova nel senso di dolore, fatica, pericolo. Ma anche nel senso di valutazione e di giudizio.

Perché è proprio nel dolore che abbiamo la possibilità di guardare criticamente al nostro recente passato. All’elenco di debiti, di incomprensioni, di stonature, di errori. Ai passi falsi e all’incoscienza. Alla mancanza assordante di pensieri che non abbiamo avuto il coraggio di formulare. Questo presente consegna, dunque, ad ognuno di noi delle responsabilità importanti. Ciascuno può esercitarle, rispetto al proprio ruolo e al proprio agire, per contribuire a una costellazione di cambiamenti molecolari e diffusi. Nel mio piccolo, avverto impellente la necessità di cambiare molte cose nel mio lavoro. In fondo l’inclinazione al cambiamento ha sempre contraddistinto la mia vita professionale, marcandola con una naturale e gioia irrequietezza creativa. Ma questa crisi è come se avesse amplificato tale urgenza trasformativa, rendendola non più differibile».

Un cambiamento per depurare “l’essenziale dal superfluo”

«Il cambiamento che immagino passa innanzitutto la capacità di ricontattare le ragioni più profonde che mi hanno spinto ad entrare nel mondo della moda. Sento il bisogno di rinnovare un patto, depurando l’essenziale dal superfluo. Avverto la necessità di riaccostarmi, in maniera autentica, al movente di una scelta. A quell’insieme di motivi che hanno costruito il mio andare. Ho capito, nel tempo, che questi motivi hanno nomi e intensità diverse, mi si addensano tutti fatalmente intorno ad una stessa urgenza: la possibilità di raccontare. È questa possibilità, cosi ancestrale e potente, che mi ha sempre permesso di costruire varchi espressivi, di dare spazio a quel nucleo di inesprimibile che agita i miei sogni, di celebrare la nostalgia dell’imperfezione, di omaggiare la bellezza che ferisce di forma in forma. È questa possibilità che mi consente di afferrare, con morsi di infinito, il quotidiano innamoramento dell’esistenza».

Niente più scadenze che “mortificano la creatività”

«Sto realizzando, tuttavia, che questa possibilità di raccontare non può essere costretta dalla tirannia della velocità. Oggi sappiamo che era troppo furioso il nostro fare, troppo insidiosa la nostra corsa. È in questa rinnovata consapevolezza, che sento l’esigenza di un tempo mio, svincolato da scadenze etero-imposte che rischiano di mortificare la creatività. Un tempo capace di sostare in attesa, di attraversare con lentezza anche il dono di inoperosità. Un tempo che sappia far respirare la promessa di un’epifania e che sappia indugiare sul sogno, sul gioco, sulla prefigurazione. Un tempo quanto mai necessario per costruire nuove e più potenti narrazioni.

Per questo ho deciso di costruire un percorso inedito, lontano dalle scadenze che si sono consolidate all’interno del mondo della moda e, soprattutto, lontano da una performativita ipertrofica che oggi non trova più una sua ragion d’essere. È un atto di fondazione, audace ma necessario, che si pone l’obiettivo di edificare un nuovo universo creativo. Un universo che essenzializza nella sottrazione di eventi e si ossigena nella moltiplicazione di senso».

«Abbandonerò il rito stanco della stagionalità e degli show»

«Nel mio domani, abbandonerò quindi il rito stanco della stagionalità e degli show per riappropriarmi di una nuova scansione del tempo, più aderente al mio bisogno espressivo. Ci incontreremo solo due volte l’anno, per condividere i capitoli di una nuova storia. Si tratterà di capitoli irregolari, impertinenti e profondamente liberi. Saranno scritti mescolando le regole e i generi. Si nutriranno di nuovi spazi, codici linguistici e piattaforme comunicative. Non solo.

Mi piacerebbe abbandonare l’armamentario di sigle che hanno colonizzato il nostro mondo: cruise, pre-fall, spring-summer, fall-winter. Mi sembrano parole stantie e denutrite. Sigle di un discorso impersonale, di cui abbiamo smarrito il senso. Contenitori che si sono progressivamente staccati alla vita che li aveva generati, perdendo aderenza con il reale. Sono convinto che il domani potrà essere costruito anche a partire da una rinnovata capacita di nominazione. Ecco allora il desiderio di battezzare i nostri nuovi appuntamenti con un linguaggio dalle radici meravigliosamente antiche: il linguaggio della musica classica. Saranno quindi, di volta in volta, sinfonie, rapsodie, madrigali, notturni, ouverture, concerti e minuetti a costellare il mio percorso creativo. La musica, in fondo, ha il sacro potere di produrre riverberi e connessioni. Viaggio attraverso i confini, riannodando la fragilità dell’infinito».

Si apre una nuova fase

«In questo silenzio che è cosa viva, il mio ascolto abbraccia tutte le persone straordinarie che lavorano con me. Ricalibrare il tempo su passi più umani vuole essere una promessa di rinnovata cura nei confronti di questa meravigliosa comunità di utenti cui orgogliosamente appartengo. E il mio progetto, pro-jectum: l’arte di gettare nel futuro l’esistenza. Un futuro declinato al plurale, che comprende il noi come fondamento. Che comprende quell’abbraccio che oggi noi non possiamo darci ma verso cui torneremo con una comprensione più espansa. Con l’intesa di branco e respiro ritrovato. Sarà il tempo in cui impareremo a sentire crescere, di notte, le foreste. Oggi siamo ancora lontani, il mio amore per la moda scalpita. La nostra specie in fondo è questo: ama a più non posso nel pieno del mancare».

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6/6 * In his last two diary entries for these times, ‘Community of Purpose’ on May 5, 2020 and ‘In the Throes of What is Missing’ on May 16, 2020, shown here in Italian, English to follow, @alessandro_michele states: “In this silence, that is a living thing, my listening embraces all the extraordinary people that I’m connected with. Recalibrating time, to set the pace at a human level, wants to be a promise of revived care towards this amazing community of purpose I proudly belong to. It’s my project, pro-jectum: the art of extending the existence in the future. A plural future, where “we” provides a foundation. A future that contains the hug that today we cannot give each other, but to which we will return with an expanded comprehension.” #AlessandroMichele Read his diary through link in bio.

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