Attrice intensa e raffinata, Vittoria Puccini si racconta in questa intervista. Dagli esordi casuali al successo travolgente, dal timore di restare intrappolata in un ruolo alla continua ricerca di verità.
Dagli esordi folgoranti con Elisa di Rivombrosa fino ai ruoli più intensi della maturità, Vittoria Puccini è una delle attrici italiane più amate e versatili. Nata a Firenze nel 1981, dopo una breve parentesi universitaria in giurisprudenza, ha scoperto la sua vera vocazione quasi per caso, durante un corso di recitazione. Da lì, una carriera costruita con intelligenza e passione, tra cinema d’autore, grandi fiction televisive e serie che raccontano la complessità dell’essere umano.

Dal 30 maggio al 1° giugno, Palermo ha ospitato la seconda edizione del Festival ON AIR, dedicato a Serie TV e Cinema come strumenti per raccontare i grandi temi sociali del presente. Tra gli incontri più intensi, quello con Vittoria Puccini che ha messo a nudo l’essenza del mestiere d’attrice: un confronto continuo con la verità, le paure e le metamorfosi del sé.
Vittoria Puccini: «Elisa di Rivombrosa mi ha cambiato la vita»
Dove e quando hai sentito per la prima volta che volevi fare questo lavoro?
Forse l’ho capito un po’ tardi. Ho fatto il liceo classico, poi mi sono iscritta a giurisprudenza, ma in realtà non avevo le idee molto chiare. Forse è stato proprio lì che ho cominciato a capire che non era la mia strada, quella del diritto. Parallelamente stavo facendo un corso di recitazione per passione, per curiosità. Poi ho fatto un provino, quasi per gioco, e ho preso la parte. Allora ho capito che quella cosa lì mi faceva sentire viva, mi emozionava. Da lì è cominciato tutto.
Cosa hai scoperto di te stessa recitando?
Tantissime cose. È un lavoro che ti costringe a metterti in gioco, a esplorare delle parti di te che magari nella vita quotidiana tendi a nascondere. È un continuo scavare dentro, cercare la verità del personaggio, ma anche una verità tua. Ed è anche terapeutico, a volte. Faticoso, certo, ma anche molto arricchente.

C’è un ruolo che ti ha cambiato o ti ha insegnato qualcosa di importante?
Ce ne sono tanti. Ogni personaggio lascia qualcosa. Però, se devo citarne uno, direi Elisa di Rivombrosa, anche se è stato all’inizio. Mi ha cambiato la vita, in tutti i sensi. Mi ha dato popolarità, ma anche una responsabilità enorme. Avevo 21 anni, ero alla prima vera esperienza importante, e mi sono ritrovata catapultata in un successo enorme. E poi più recentemente, direi Emma, nella serie «Romanzo famigliare» di Francesca Archibugi. Un personaggio difficile, intenso, che mi ha fatto scavare molto dentro di me.

Che rapporto hai con il pubblico che ti segue da vent’anni?
È un rapporto bellissimo. Mi sorprende sempre. Ogni volta mi commuove il loro affetto, la loro costanza. È come se avessimo fatto un percorso insieme. Cresciuti insieme, in un certo senso.
Hai mai avuto paura di rimanere imprigionata in un ruolo o in un’immagine?
Assolutamente sì. Dopo Elisa di Rivombrosa, ad esempio, avevo paura di essere etichettata solo come quel tipo di personaggio. Invece ho cercato, con scelte anche rischiose, di fare cose diverse. Anche a costo di rinunciare a qualcosa. È importante poter cambiare pelle, non rimanere fermi in un’immagine sola.

Che attrici o attori ti hanno ispirata nel tempo?
Meryl Streep, per la sua capacità camaleontica. Cate Blanchett, perché è sempre elegante, profonda, mai banale. Poi ci sono attrici italiane come Margherita Buy, che ho sempre ammirato tantissimo. Ma anche attrici con cui ho avuto la fortuna di lavorare, da cui ho imparato moltissimo.
Che tipo di rapporto hai con la serialità? Ti senti più a tuo agio nel cinema o nella lunga durata di una serie?
La serialità mi piace moltissimo, perché ti permette di approfondire un personaggio in modo diverso, di farlo evolvere. Hai tempo per raccontarlo. Certo, il cinema ha un fascino unico, anche perché è più concentrato, tutto in una volta. Però anche le serie ti danno tante opportunità, oggi forse anche più di un tempo.

Come scegli i ruoli oggi? Cosa cerchi in un progetto?
Cerco qualcosa che mi emozioni, che mi faccia venire voglia di raccontare quella storia. Può essere una sceneggiatura ben scritta, un personaggio complesso, un regista che stimo. Ma anche il senso di fare parte di un progetto che abbia qualcosa da dire, un messaggio. E poi ci sono le sfide: mi piacciono le cose che mi spaventano un po’.
Vittoria Puccini: «Questo lavoro vive di stupore, di scoperta. Se perdi quello, è finita»
Che cosa ti spaventa?
L’idea di non essere all’altezza. La paura di non riuscire a restituire fino in fondo la verità di un personaggio. Ma anche la paura, forse più intima, di non riuscire a sorprendermi più. Perché questo lavoro vive di stupore, di scoperta. Se perdi quello, è finita.

Hai mai pensato di lasciare tutto? Di fare un altro mestiere?
Sì, nei momenti più difficili. Quando le cose non andavano come speravo, quando mi sembrava di non riuscire a farmi ascoltare. Ma poi mi bastava tornare su un set, davanti a una macchina da presa e sentire di nuovo quell’energia. E capivo che no, non potevo farne a meno.
Che consiglio daresti a una ragazza che vuole fare l’attrice oggi?
Le direi: studia, sii curiosa, non avere paura di sbagliare. Ma soprattutto: cerca la verità, sempre. Non cercare di piacere, di essere qualcun altro. Sii te stessa, anche nei ruoli che interpreti. È quello che arriva davvero al pubblico.
Cos’è per te il successo oggi? È cambiata la tua idea nel tempo?
Sì, è cambiata tanto. Quando sei giovane pensi che il successo sia la fama, l’essere riconosciuta, le copertine. Oggi penso che il vero successo sia fare quello che ami, con dignità, con coerenza. Essere felice di quello che fai. E riuscire a emozionare anche solo una persona con una tua interpretazione.